L’orologio astronomico con volvella lunare in Piazza Tre Martiri a Rimini (Wikimedia Commons)
Con il tramonto di ieri è cominciato il mese di Ramadan, il mese del digiuno per i musulmani di tutto il mondo che nella varietà delle scuole e delle etnie rappresentano complessivamente circa il 24% della popolazione mondiale, distribuiti in misura diversa in tutti i Paesi di tutti i continenti. Il mese di Ramadan richiede l’osservanza del digiuno, terzo pilastro della religione islamica, ma è anche un lungo momento di benedizione e di festa: è infatti il mese della discesa del Corano e nelle moschee (non quest’anno, purtroppo, per gli impedimenti dell’epidemia globale!) oppure nelle singole famiglie, si rinnova il ricordo e la recitazione devota, di tutto il Corano o di quello che ciascuno ne conosce.
Nella lunga attesa tra i due pasti, quello notturno del suhur, prima dell’inizio dell’alba, e quello serale dell’iftar (la rottura quotidiana del digiuno) appena il sole è scomparso dall’orizzonte fisico al tramonto, oltre alle quotidiane occupazioni e preghiere, i musulmani sono incoraggiati a studiare, affinare e approfondire la loro conoscenza della recitazione sacra da onorare nelle cinque preghiere.
Non mi dilungo oltre, ma per spiegare l’immagine dell’orologio astronomico che ho messo all’inizio di questo articolo, bisogna sapere che il calendario lunare islamico prevede di iniziare il mese quando ne venga vista, da un testimone, la primissima falce di luna. Bisogna quindi sapere in anticipo quando potrà cadere il giorno di questo evento astronomico. Per questo i musulmani, arrivati in Persia e nel centro Asia fin dai primi secoli dell’avvento della nuova religione (quindi già a partire dal VII-VIII secolo d.C.), assimilarono e svilupparono per le proprie esigenze le conoscenze astronomiche e matematiche dei Persiani e dei Babilonesi ma anche degli Indù e dei Cinesi.
Furono loro a diffondere capillarmente l’uso dell’astrolabio e degli orologi astronomici, proprio per le necessità legate ai tempi della preghiera e degli altri riti come il digiuno a scandire la vita religiosa. In particolare la volvella, che rappresenta meccanicamente le fasi lunari e a volte è presente anche negli orologi da polso, fa parte di questi utili strumenti e può essere costruita anche con carta e forbici e qualche buon modellino che si può trovare anche online.
Ramadan Karim – auguri di un generoso Ramadan – a tutti gli studenti, insegnanti, assistenti scolastici, amministratori, genitori, parenti e amici di religione islamica. 🌒🌒🌒
Se siete in cerca di figure geometriche nuove, loghi intriganti o anche solo scacciapensieri geometrici, andate su Geogebra, disegnate un oggetto a caso, dategli un’espressione parametrica, attivate lo strumento “Mostra traccia”, avviate uno slider per il parametro e state a vedere cosa succede… (alzi la mano chi non usa Geogebra e non sa di cosa sto parlando!).
Ad esempio, dopo che in questo recente articolo mi ero occupata dell’equazione parametrica dell’ellisse di dato centro e assi, affascinata dal vedere come si muovono le coordinate e del punto S scorrevole sull’ellisse, mi è venuto in mente di attivare lo strumento “Mostra traccia” (cliccare sull’oggetto per selezionarlo – poi pulsante destro del mouse – poi selezionare “Mostra traccia” nel menù che appare; salvo manutenzioni del programma, di solito funziona e molto bene). Naturalmente ho immortalato il risultato nel solito minivideo che qui presento
l’Astroide come curva inviluppo usando la funzione “mostra traccia” su Geogebra
La figura che vien fuori dalla sovrapposizione delle tracce è ben nota e si chiama Astroide, è un tipico esempio di curva di inviluppo ovvero di curva formata – come in questo caso – da una famiglia di rette (non parallele tra di loro e non passanti tutte per uno stesso punto, ma in qualche altro modo legate da una relazione parametrica) che ne rappresentano le tangenti. In altre parole, la curva Astroide è tale che in ogni suo punto, la retta tangente alla curva contiene un segmento di quelli generati dal punto S variabile sull’ellisse, e viceversa ognuno dei segmenti appartiene a una qualche retta tangente all’Astroide.
Per ottenere l’equazione parametrica dell’astroide in funzione del parametro s, è quindi sufficiente applicare la regola generale che permette di calcolare l’equazione della curva inviluppo conoscendo la famiglia delle rette tangenti, in funzione di un dato parametro.
Senza dare qui la dimostrazione, ricordiamo che tale regola prevede di mettere a sistema le due equazioni:
dove la prima equazione è l’espressione della famiglia di rette in funzione di x, y e s, scritta in forma implicita, mentre la seconda equazione rappresenta la derivata parziale rispetto al parametro s uguagliata a 0.
Nel nostro caso, ricordando l’espressione di x(S) e y(S) che abbiamo illustrato in questo articolo, chiamando a e b i semiassi maggiore e minore e considerando che il centro è nell’origine, abbiamo:
Per trovare l’equazione parametrica della generica retta tangente, osservo innanzitutto che il segmento è sempre inclinato rispetto all’asse x di un angolo supplementare rispetto all’angolo s (e incidentalmente, anche se questo dato non ci servirà, notiamo che la lunghezza di , in corrispondenza di ogni punto S è pari al raggio variabile OS dell’ellisse), come si può verificare facilmente con l’aiuto della figura:
In ogni punto S dell’ellisse, il segmento è la seconda diagonale del rettangolo di diagonale OS
Questo significa che il coefficiente angolare di sarà in ogni punto pari a
La generica retta della famiglia con parametro s, contenente il segmento avrà quindi equazione:
(Ho usato la formula della retta passante per un punto, con punto base e coefficicente angolare ).
Abbiamo quindi
ovvero
mentre la derivata parziale rispetto a s prende l’espressione
Per trovare l’equazione della nostra curva astroide dovremo quindi mettere a sistema le due equazioni:
e
Svolgendo i calcoli
Dalla seconda equazione otteniamo un’espressione per l’ascissa:
e sostituendo nella prima otteniamo
ovvero
In definitiva il punto R del nostro astroide, al variare di s avrà coordinate:
E incrociando le dita…
Per verificare se i nostri calcoli sono corretti, creiamo un punto R su Geogebra con tali coordinate e vediamo come si comporta rispetto all’Astroide:
Certi pattern danno il mal di testa, altri il mal di mare… Come questo, che decora alcuni cortili della Alhambra: secondo me un racconto del mare attraversato e (o) un omaggio ai giochi d’acqua che impreziosiscono i giardini del palazzo più famoso dell’Andalusia.
In un precedente articolo (qui il link) abbiamo introdotto il bellissimo argomento dei metodi numerici per l’algebra (e non solo per l’analisi!), un tema affascinante e un universo popolato da molti oggetti meravigliosi della matematica. Brillanti come le Pleiadi, tra questi, le frazioni continue.
Avevamo come primo esempio introdotto l’equazione
trasformandola nella forma
e infine, dividendo per un x sicuramente diverso da zero, in
Ora, non so se l’abbia mai detto qualcuno, ma in caso negativo sono felice di essere la prima a farlo, “la mente semplice forgia idee brillanti”.
E cosa ci poteva essere di più brillante se non sostituire, nella x al denominatore, l’intera espressione che dev’essere uguale a x, ovvero l’intero secondo membro dell’equazione?
Vi gira già la testa, vero? Ve la scrivo, così:
📌
A questo punto, avrete già intuito qualcosa: cosa succede se in questa nuova espressione sostituisco ancora l’espressione di x (quella della prima equazione o – saltando un passaggio come faremo noi – quella di questa seconda)?
Un gioco di specchi
Avete mai provato a mettervi in mezzo a due specchi e guardarci dentro?
ananas a effetto “infinito” grazie a un gioco di specchi, immagine dal web
L’effetto è davvero vertiginoso, è forse la cosa che più avvicina alla percezione quasi “tangibile” dell’infinito matematico. A me ha sempre fatto impazzire (ci giocavo con l’armadio a doppio specchio di mamma e papà, quando ci vestivamo per le feste grandi).
Con le frazioni continue, più o meno funziona allo stesso modo: riproponiamo la stessa “immagine” in un punto che è già un “riflesso” della prima forma che è l’equazione di partenza. Solo, per velocizzare, non guardiamo tutte le figure ma ne saltiamo qualcuna.
Nella seconda sostituzione, dove vado a sostituire il secondo membro di 📌 al posto della x al secondo membro della stessa equazione, ottengo (“premio latex 2019”):
📌📌
Dove (non) osa il calcolatore
Date a una calcolatrice questa procedura, e non saprà dove terminare. Si tratta infatti di una procedura (infinita) e non di un algoritmo (finito).
E noi, dove andremo a parare con questa x che rispunta sempre fuori in una formula sempre più complicata? Scriviamo un terzo step usando questa volta la formula 📌📌 :
📌📌📌
Cominciamo a capire di cosa stiamo parlando, quando diciamo “frazioni continue”? Spero di sì. È un argomento che a me affascina molto. Per ora ci fermiamo ma proseguiremo presto in questa che si prospetta una lunga, lunghissima storia. Per restare in tema, per ora possiamo soltanto scrivere:
😎(continua) 😎
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Analisi numerica, questa affascinante materia che credevo essere nata con Newton nel diciassettesimo secolo, ma che invece scopro aver radici molto più antiche: di sicuro ne troviamo traccia nei matematici e astronomi persiani dell’ XI secolo, ma confido che si possano trovare segni anche più antichi della pratica di questa disciplina.
immagine Pixabay, auth: geralt
L’uso moderno dei computer ha permesso di rivalutare l’utilità delle tavole numeriche (da far memorizzare al macchinario, programmando un software d’interpolazione per i valori intermedi) o dei metodi ricorsivi (ad esempio il metodo delle tangenti di Newton per la ricerca degli zeri di un’equazione non lineare); tuttavia, alcune di queste prassi erano già ben consolidate nell’antichità.
Già il nome inganna, perchè fa pensare che i metodi numerici si applichino soltanto all’analisi matematica.
Pensare invece che si possono utilizzare semplici metodi numerici per la risoluzione di alcuni tipi di equazione di secondo grado!
Partiamo da un esempio che funziona
Voglio trovare una radice dell’equazione
Poichè nell’animo sono un po’ Khayyamiana / Khwarizmiana, la riscrivo così
A questo punto dobbiamo fare un piccolo volo pindarico: un ideale passo indietro nella storia della matematica, a prima del Kitab di Al-Khwarizmi, a prima del trattato indiano di Brahmagupta. Come possiamo fare per trovare non tutte – ma almeno una delle soluzioni di questa equazione?
A qualcuno, un giorno nella storia dell’umanità, venne in mente di fare così:
Poichè zero non è certamente una soluzione, posso dividere tutto per x.
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Non sei un blogger degno di questo nome se non rendi ossequio, ogni tanto, alla nobile arte retorica dell’enumerazione,
clipart Pixabay
Cercherò allora di contare quante cose si possono fare conoscendo le coordinate dei tre vertici di un triangolo, nel piano cartesiano. Ancora non lo so quante sono, chi vivrà vedrà!
Chiamiamo come di consueto A, B e C i vertici del triangolo argomento di questo articolo.
Per cominciare, una prima osservazione filosofica, ovvero: la primissima cosa che possiamo fare a partire dalle coordinate di tre punti A, B, C è
0. Definire il triangolo ABC
Sembra banale, ma lo è? Se ci pensiamo, per definire il triangolo “concettualmente”, a partire dagli assiomi della geometria euclidea, basta disegnare i tre punti e il gioco è fatto. Matita e righello, uniamo i vertici e ci siamo: non c’è possibilità di unirli nel modo sbagliato, la figura è sempre convessa, il triangolo c’è.
(Se però volessimo parlare dell’espressione analitica del triangolo ABC, dobbiamo persino scomodare un sistema di tre disequazioni: ne parleremo prima della fine di questo lungo elenco, se avrete tempo e interesse a seguirne anche le prossime puntate).
Ma procediamo: ora il triangolo è disegnato, possiamo quindi cominciare la nostra sfilata di cose-da-fare.
1. Calcolare lunghezze dei lati e perimetro di ABC
… per non dir del semiperimetro!
Serve ripetere le formule? Ma sì, certo che sì: ci sarà sempre qualche lettore che avrà aperto questo link soltanto per trovare esattamente quelle. Chi già le conosce può saltare a piè pari al punto 2.
1.1 I lati AB, BC e CA e le loro misure
La formula per la misura di un segmento di estremi A e B (ovvero la distanza euclidea AB) si ricava come semplice applicazione del teorema di Pitagora. Questo piccolo appunto può servire come aiuto per memorizzare la formula:
Ripetiamo la stessa operazione con le coppie di vertici AC e BC
Abbiamo così descritto le lunghezze dei tre lati AB, AC e BC in funzione delle coordinate cartesiane dei rispettivi estremi.
1.2 Calcolare il perimetro e il semiperimetro
A volte risulta utile conoscere anche il semiperimetro di un triangolo; non abbandono quindi la consuetudine di chiamare 2p il perimetro del triangolo, dimodoché il semiperimetro potrà essere comodamente indicato con p.
Per calcolare il perimetro una volta calcolate le misure dei tre lati AB, BC e CA, non serve altro che sommarle tutte tra di loro:
Il semiperimetro è pari al perimetro diviso 2:
2. Calcolare l’area con la formula di Erone
Formula di Erone, ve la ricordate? Compare chissà come e chissà quando, senza dimostrazione perchè il discorso è un po’ complicato (potete trovarne un accenno in questo articolo).
Per scrivere la formula di Erone è comodo chiamare a, b e c le misure dei tre lati AB, BC e CA. Ricordando che abbiamo chiamato p il semiperimetro (vedi paragrafo 1.2 qui sopra), la formula è la seguente:
Semplice e indolore, no? Eppure la base concettuale di tale formula è apparentemente non così banale e richiede un’operazione di passaggio al limite, come ho provato ad accennare nell’articolo “Da Brahmagupta a Erone… passando per Al-Kashi e Carnot!“.
3. Stabilire se il triangolo è rettangolo
Possiamo farlo in tantissimi modi diversi. Ad esempio:
3.1 Confrontare i coefficienti angolari dei lati
Ricordiamo che il coefficiente angolare si esprime in funzione delle coordinate dei vertici in questo modo:
;
;
.
Confrontando i tre coefficienti angolari, si avrà un triangolo rettangolo nel caso in cui due dei tre valori diano come prodotto -1 (ovvero siano, come si suol dire, antireciproci).
3.2 Verificare se vale il teorema di Pitagora
Per farlo, calcoliamo le misure dei tre lati AB, BC e CA (vedi punto 1.1 qui in alto). Eleviamo i tre valori al quadrato e verifichiamo se la somma dei quadrati dei due lati minori sia pari al quadrato del lato maggiore. In caso affermativo, il triangolo è effettivamente rettangolo e i due lati minori risultano essere i cateti.
3.3 Verificare se vale il primo o il secondo teorema di Euclide.
Certo, si può, ma richiede un sacco di lavoro aggiuntivo. Vale davvero la pena di soffrire così tanto? Comunque, se proprio si deve, è sufficiente proseguire la lettura ai punti 4 e 5 qui di seguito, per trovare le formule per il calcolo di altezze e proiezioni dei cateti sull’ipotenusa.
4. Individuare il piede delle altezze su ciascuno dei tre lati
Chiamando i piedi delle altezze rispettivamente relative ai lati AB, BC e CA, potremo individuare le coordinate di tali punti utilizzando la formula della retta passante per un punto e perpendicolare ad una retta data.
Ad esempio, per individuare il punto , scriviamo innanzitutto l’equazione del fascio proprio di rette passanti per C:
Come coefficiente angolare sceglieremo l’antireciproco di (vedi punto 3.1 più in alto in questo articolo).
Abbiamo quindi individuato l’equazione della retta che contiene l’altezza relativa al lato AB:
Mettiamo tale equazione a sistema con l’equazione della retta passante per i punti A e B, che è data da:
Risolvendo il sistema di due equazioni nelle incognite x e y troviamo le coordinate del punto cercato.
Analogamente si procede per i piedi delle altezze relative agli altri due lati.
5. Calcolare la misura delle altezze e delle proiezioni dei due dei lati sul terzo lato
Una volta trovato il punto (paragrafo 4 qui in alto), possiamo applicare le formule della distanza fra due punti (vedi punto 1.1 più in alto in questo articolo) per calcolare rispettivamente:
l’altezza relativa al lato AB (distanza fra C e )
la proiezione di AC su AB (distanza fra A e )
la proiezione di BC su AB (distanza fra B e )
Tali valori potranno essere utilizzati fra l’altro per verificare la validità o meno del primo o del secondo teorema di Euclide (vedi punto 3.3 più in alto).
6. Rimandare il resto dell’elenco ad un prossimo articolo.
Del quale, non appena sarà pronto, troverete proprio qui il giusto link.
Se avete osservazioni, commenti, obiezioni, consigli o errori da segnalare, non esitate a lasciare i vostri commenti!
Alla prossima conclusione di questo non breve elenco di tutte le cose che possiamo fare conoscendo i tre vertici di un triangolo!
Stiamo parlando di geometria euclidea dello spazio, e in particolare di fasci di piani paralleli. La giacitura allora è “quel qualcosa” che accomuna i piani paralleli tra di loro: la possiamo associare per fissare le idee alla direzione delle rette perpendicolari a tali piani, nel senso che vi è un legame stretto fra la giacitura dei piani e la direzione delle rette ad essi perpendicolari, senza che i due concetti siano coincidenti.
Per fare un esempio concreto
possiamo pensare a una risma di carta o a un libro chiuso: a seconda di come li teniamo nello spazio, determiniamo idealmente una nuova giacitura per il fascio di piani paralleli evocati dai fogli sovrapposti.
Ciascun libro diversamente inclinato, determina una diversa giacitura. (Foto Pixabay, ph. jarmoluk)
Giacitura e rette sghembe
Una interessante relazione lega il concetto di giacitura con quello di rette sghembe: si può quindi facilmente osservare che per ogni coppia di rette sghembe esiste una ed una sola giacitura tale da individuare due piani paralleli che le contengono entrambe.
Certi anacronismi o antistoricismi della nostra storia della matematica (dove “nostra” è spesso la storia, più che la matematica), rivelano l’imbarazzo contemporaneo di ammettere i danni culturali che indubbiamente hanno causato diversi secoli di omertoso silenzio riguardo ai rapporti tra Oriente e Occidente nel cosiddetto “oscuro medioevo”. Oscuro, forse, ma sicuramente anche molto, troppo oscurato!
Così, cercando una dimostrazione della famosa Formula di Erone (I secolo d.C.) per il calcolo dell’area di un triangolo, trovo che essa si dimostra facilmente a partire dell’analoga Formula di Brahmagupta (VII secolo d.C.) relativa all’area di un quadrilatero inscritto in un cerchio. Quest’ultima a sua volta viene abbastanza facilmente dimostrata utilizzando le formule trigonometriche di Al-Kashi (XIV secolo d.C.) e Carnot (XIX secolo d.C.)!
Ora, nel caso in cui la matematica, per quanto applicata alle datazioni storiche, abbia ancora il privilegio di non essere un’opinione, in questo excursus logico-storico c’è qualcosa che fortemente non torna.
D’accordo, l’ottimo Brahmagupta indù (vero “inventore dell’algebra”, da cui procederà per traduzione l’operoso musulmano prestato alla Bayt al Hikma di Baghdad, Al-Khwarizmi) dimostra, non sappiamo come, l’analoga formula per l’area del quadrilatero inscritto in un cerchio per poi osservare che ponendo uno dei lati uguale a zero si ritrova l’evidentemente già nota formula di Erone.
Una dimostrazione con dei limiti
Apro un inciso: per porre uno dei lati uguale a zero bisogna fare un’operazione di passaggio al limite, almeno se la dimostrazione è quella che noi conosciamo e che illustreremo a breve. Tale dimostrazione, come vedremo, richiede infatti di scomporre il quadrilatero in due triangoli che non possono essere ridotti a segmento, pena il venir meno della costruzione.
D’altra parte Brahmagupta è nientemeno che l’inventore dello zero e dell’infinito matematici, anche se il perfezionismo formale nostrano gli nega l’onore di aver se non altro intuito il concetto di passaggio al limite. Eppure questo “passaggio al limite” dal quadrilatero inscritto al triangolo di Erone sembrerebbe smentire ogni accusa di ingenuità nei suoi confronti.
La formula di Brahmagupta, passando per Al-Kashi e Carnot
Procediamo con ordine e incominciamo con l’esporre la formula di Brahmagupta per il calcolo dell’area di un quadrilatero inscritto in un cerchio. Tale formula è molto bella e conferma il carattere molto particolare dei quadrilateri inscritti in un cerchio.
Chiamando Q l’area del quadrilatero, a, b, c, d le misure dei quattro lati e p il semiperimetro , abbiamo:
La dimostrazione con Al-Kashi e Carnot
La dimostrazione della formula di Brahmagupta chiama in causa le seguenti proprietà geometriche e trigonometriche:
👩🏽🏫 Proprietà dei quadrilateri inscritti in un cerchio: la somma di angoli interni opposti è sempre 180° (in altre parole gli angoli interni opposti sono supplementari tra di loro)
👩🏽🏫👩🏽🏫 “Formula di Al-Kashi” per l’area del triangolo: l’area T di un triangolo è data dalla metà del prodotto delle misure di due lati, per il seno dell’angolo compreso. Ad esempio dette a, b le misure di due lati e chiamato α l’angolo compreso, si ha:
realizzato con Geogebra – ilripassinodimatematica.com
Per procedere con la dimostrazione, chiamiamo a, b, c, d le misure dei quattro lati del quadrilatero, evidenziamo un angolo interno α e il suo opposto 180° – α e tracciamo infine la diagonale e opposta ad α e 180° – α (vedi figura in alto).
Abbiamo ottenuto due triangoli BCD di lati a, b, e e ABD di lati c, d, e.
Chiamiamo T’ e T” le aree dei due triangoli BCD e ABD.
Per la formula di Al-Kashi (👩🏽🏫👩🏽🏫) avremo:
e
da cui, sommando e raccogliendo possiamo ottenere un’espressione della superficie Q del quadrilatero:
📌
Elaboriamo ancora un po’ questa formula, elevando entrambi i membri al quadrato e sostituendo con . Avremo:
da cui, scomponendo la differenza di quadrati:
📌📌
Ci appuntiamo questa identità che riprenderemo fra poco. Vediamo ora come utilizzare il teorema di Carnot per ricavare un’espressione di cosα da sostituire nella formula appena scritta:
Cominciamo con l’esprimere la diagonale e in funzione dei lati e angoli del quadrilatero, in due modi diversi in modo da poterli poi confrontare.
Lavorando sul triangolo T’ abbiamo:
👨🏽🏫
e , da cui:
👨🏽🏫👨🏽🏫
Confrontando le identità 👨🏽🏫 e 👨🏽🏫👨🏽🏫 possiamo ricavare un’espressione di cosα.
Cominciamo uguagliando le due espressioni del quadrato di e:
Isoliamo i termini in cosα e raccogliamo opportunamente:
da cui:
📌📌📌
E ora viene il bello: unire i due composti e mescolare!
Riprendiamo la formula 📌📌 e confrontiamola con la 📌📌📌. Sostituendo l’espressione di cosα otteniamo:
Cominciamo a portare le due parentesi a comune denominatore. Otteniamo:
e semplificando i denominatori:
A questo punto, riordinando opportunamente i termini dei due fattori e ricordando l’espressione del quadrato di un binomio possiamo scrivere:
Infine, applichiamo opportunamente la regola di scomposizione della differenza di due quadrati, per ottenere:
📌📌📌📌
Ci siamo quasi! Osserviamo ora che:
👩🏼🏫
👩🏼🏫👩🏼🏫
👩🏼🏫👩🏼🏫👩🏼🏫
👩🏼🏫👩🏼🏫👩🏼🏫👩🏼🏫
Sostituendo le quattro espressioni nella formula 📌📌📌📌 arriviamo finalmente alla nostra conclusione attesa:
Ed eccoci ad Erone!
Dalla Formula di Brahmagupta, come dicevamo, è sufficiente “settare a 0” uno dei quattro valori a, b, c, d per ottenere l’analoga formula di Erone per il triangolo (il quale è sempre inscrivibile in una circonferenza!):
Quale che fosse la sensibilità o il rigore matematico di Brahmagupta, resta interessante notare come egli utilizzi la formula, una volta costruita, come una “macchina astratta” nella quale inserire numeri a piacere. Direi un bel grado di astrazione per un “primitivo” e pure “medievale” del continente indiano! Voi che ne dite?
6 per 8 quarantotto, ma quanti anni sono passati prima di accorgersi che 6 per 4 ventiquattro è esattamente la metà!
E perchè fan 12 sia 6 per due sia 3 per quattro, con quel tre che è dispari e non c’entra un h?
Tabelline pitagoriche… quelle che la mia generazione ha imparato a memoria se e solo se in possesso dei Quaderni Pigna i quali tutti – a righe o a quadretti – le avevano in quarta di copertina (o come si chiama quell’ultimo retro di foglio prima della copertina rigida).
Sì, tabelline, quelle che ormai da decenni sono fuori dalla portata degli obiettivi di apprendimento della scuola elementare, mentre si preferisce introdurre magari il gruppo abeliano perchè essendo gruppo – e anche commutativo – fa molto più social.
In tutto questo non sapere più quanto fa sette per sei, un grave inconveniente si annida insidioso, ovvero il non saper più dire dove sta di casa il quarantanove.
«Ma perchè, scusi, prof, il 49 non è un numero primo?»
«Potevi semplificare…» [sorrisino enigmatico e mediamente divertito]
«Ma 49 è primo… no?» [il tono è sempre meno convinto, più tendente allo sgomento]
Eh già, bravo il povero studente: per accorgerti che 49 è divisibile per sette, dovresti conoscere la tabellina del sette! E chi te l’ha mai fatta ripetere, fino allo sfinimento, alle elementari?
Per questo – e solo per questo – motivo, in omaggio al ponte delle festività civili, durante il quale non mi asterrò dal lavoro ma anzi, farò anche qualche post in più del solito, ho deciso di regalarvi, in formato flashcard (persino «maxi»), una tabellina pitagorica «Pigna-style», da tenere in mezzo al diario, al quaderno, al libro di testo come segnalibro – dove vi pare, ma non abbiate più a dubitare se per caso, prof, non fosse che il 49 sia un numero primo!! Perchè no, la risposta è NO. Non è primo neanche un po’, ma è quadrato come le teste di chi insiste a dire ciò!