Una parola al giorno – Tridimensionale

Secondo appuntamento con “una parola al giorno”: quattro lingue con permesso di soggiorno euro-mediterraneo, per comunicare senza frontiere persino la matematica!

La parola che ho scelto per oggi è tridimensionale: niente falsi amici qui, tutte e tre le lingue europee seguono l’impianto latino della parola, con una preferenza del francese per la perifrasi, più scorrevole e piacevole alla pronuncia.

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L’espressione araba, al di là dell’aggettivo thulati che si può tradurre “in tre” o “di tre”, vede il termine al-‘ab’ad, che traduce la parola “dimensioni”, la cui radice b-‘-d significa sostanzialmente “essere lontano”, “discostarsi”, “allontanarsi”: lo trovo interessante perchè dà molto il senso della dimensione matematica come “prolungamento indefinito” in una certa direzione. Tutto a posto quindi: a parte eventuali difficoltà di pronuncia, c’è pieno accordo culturale qui!

Che cosa aggiungere riguardo al termine Tridimensionale? Poco da spiegare a riguardo, ma forse vale la pena una considerazione didattica sull’importanza di fare i conti con la terza dimensione, anche per poter padroneggiare la geometria piana.

Ricordo a questo proposito un test Invalsi per le seconde superiori cui ebbi modo di fare da assistente (come docente della materia non avrei dovuto, ma ottennero una deroga per mancanza di colleghi idonei allo scopo, alcuni in gita scolastica, altri in malattia, altri chissà). Non era una mia classe, se non altro, quindi era la prima volta che vedevo quei ragazzi. Ma chi insegna sa fin troppo bene che non c’è miglior formula magica della frase “guardate che non vi posso aiutare”, per scatenare con furia divina una tempesta di domande, alle quali essere costretti a rispondere nel modo più sibillino ed enigmatico possibile, lasciando i poveretti con i loro dubbi moltiplicati per due – o se siete bravi in quest’arte, anche per quattro.

Uno dei quesiti presentava due figure speculari in simmetria assiale, con l’asse che separava lo spazio fra di esse ben tracciato (ecco, piccolo indizio: non ho scritto “lo spazio”?). La domanda a scelta multipla chiedeva di scegliere se l’isometria che portava la figura “A” a sovrapporsi alla figura “B” fosse una traslazione, una rotazione o una simmetria assiale… un ragazzo voleva che confermassi se era giusta la sua scelta: lui diceva “rotazione”.

Mi rilessi quattro volte il quesito, cercando tra le pieghe della carta riciclata su cui era stampato se da qualche parte fosse nascosto l’aggettivo “piana” dopo la parola “isometria”: ma no, non c’era. Questo ragazzo, che avrebbe detto “rotazione” immaginando giustamente di ruotare le pagine di un ipotetico foglio intorno all’asse di simmetria (o di rotazione), aveva una squisita immaginazione tridimensionale, che la burocrazia di un compilatore di quesiti non aveva minimamente previsto! Mi sono segnata questo esempio come un “case study”, sul come gli “standard di apprendimento”, pur non essendo un male in sé, possano a volte rivelarsi delle armi a doppio taglio.

come si sovrappongono le ali di una farfalla: per simmetria assiale o per rotazione?

come si sovrappongono le ali di una farfalla: per simmetria assiale o per rotazione? fotografia presa in prestito dal sito http://m.dagospia.com/dal-baco-alla-farfalla-le-piu-belle-trasformazioni-del-mondo-animale-87348

Non tutti hanno una immaginazione tridimensionale, ed essa non viene quindi richiesta come uno standard minimo di apprendimento, ma per chi ce l’ha, è un dispiacere che essa diventi un potenziale ostacolo alla corretta valutazione del livello di apprendimento.

Certamente, se questo “livello di apprendimento” fosse stato consapevole, il ragazzo in questione avrebbe forse colto anche la sfumatura della domanda, e trovando che due possibili risposte sembravano essere corrette avrebbe scelto quella più attinente al piano di studi dell’anno in corso. Ma di quella bella sensibilità per la terza dimensione che malgrado le intenzioni il quiz Invalsi aveva fatto emergere, che ne sarà mai?

Ai posteri l’ardua sentenza, dite la vostra nei commenti, se vi pare! Domani è un altro giorno, un’altra parola ci accompagnerà!

#unaparolaalgiorno

 

 

 

 

Cercando la scienza utile

Come dice un adagio islamico, “cercate la scienza utile!”: si tratta di un consiglio che ha molti livelli di interpretazione. I più elevati hanno ricadute che non riguardano abbastanza da vicino questo spazio di condivisione di pensieri; si tratta della Scienza divina che permette di dare alle cose di questo mondo il giusto relativo valore rispetto a quell’aldilà che saremmo qui per guadagnarci. [Con buona pace dei colleghi ateisti].

Ma per non entrare in sterili polemiche tanto inutili quanto dannose, tratteremo qui soltanto di quel livello di “scienza utile” rappresentato da quelle cose più utili di altre muovendoci rigorosamente solo nell’insieme delle materie oggetto delle scienze terrene, e più precisamente della matematica.

Restringendo ulteriormente il campo, con questo adagio in mente sfoglio il secondo numero della nuova rivista MATE, che mi ha stimolato il pensiero proponendo un intero dossier su “scienza e fede”… ma non è di questo che voglio parlare.

Noto, piuttosto, un articolo nella rubrica simpaticamente chiamata “Maestrini”, con didascalia “le nuove frontiere della didattica”. La didascalia mi rassicura e mi rincuora: non si tratta di una pagina ironica! Anzi: analisi e consigli per una didattica più efficace.

L’Invalsi esiste ed è utile

L’articolo a firma di Silvia Sbaragli, intitolato “Vincere l’inganno delle posizioni”, presenta alcuni consigli su come prevenire e far emergere potenziali difficoltà che rischiano di rimanere nascoste nel consueto approccio all’insegnamento della geometria piana, nelle scuole elementari e medie: l’oggetto della trattazione è il riconoscimento delle diverse figure geometriche, a partire dalle loro “immagini segnaletiche” o a partire dalle proprietà caratteristiche?

La cosa per me veramente interessante dell’articolo è il riferimento alle valutazioni delle prove Invalsi 2008-2009. Estrapolo una deduzione en passant: l’utilità dell’Invalsi non è tanto nello stabilire i livelli di apprendimento quanto nell’individuare eventuali criticità nelle metodologie di insegnamento, come in questo caso. In altre parole: ad essere valutati non sono gli studenti, meno che meno i singoli che rimangono anonimi con poche eccezioni: sono al contrario valutati i programmi di insegnamento e le metodologie didattiche… viste così, hanno senso.

Prego identificarsi

Nella fattispecie, il case study riguarda il riconoscimento di figure geometriche, facilmente messo in crisi da una semplice “decontestualizzazione” rispetto al modo consueto di rappresentare ciascuna figura nella didattica “classica”: l’esempio evidenziato dai risultati delle prove invalsi, è quello del quadrato che se disegnato con le diagonali in orizzontale e verticale invece dei lati, diventa prontamente un “rombo”. Ora, non che il quadrato non sia un rombo, per carità. Il problema in questo caso (parliamo della prova invalsi in questione; per sapere i dettagli, comprate MATE e leggete l’articolo!)  è che si privilegia la “posizione” della figura rispetto a evidenti proprietà come l’avere i quattro angoli retti.

La domanda che sorge spontanea – almeno ai maestrini – è quindi: “ma come abbiamo spiegato il quadrato, il rombo e le altre figure”? Come abbiamo definito ciascuna figura in relazione alle altre? Che esercizi abbiamo proposto per scandagliare tutti i possibili pitfall in cui lo studente incauto potrebbe cadere? … un momento! Ci abbiamo pensato alle possibili trappole in cui lo studente potrebbe cadere?

Da qui il consiglio dell’articolista: presentare le figure “non nel solito modo”: disegnarle in modo dinamico, in posizioni inaspettate, prevenire con la propria esperienza e capacità immaginativa tutte le possibili situazioni di ambiguità. A questo serve l’insegnante-allenatore. Le nozioni sono strumenti di lavoro per gestire gli oggetti matematici, non astrazioni da ripetere senza trovarne il legame con la realtà.

Dire, fare, manipolare

L’altro esempio citato nell’articolo è quello della piramide a base quadrata la quale, se presentata con la punta verso il basso, viene “per esperienza vissuta” identificata senz’altro indugio con un “cono”: il lato positivo è che l’esperienza matematica in quel caso, se pure non corretta, sarà risultata almeno appetitosa! Ma questo esempio apre a due importanti riflessioni che mi stanno entrambe tanto a cuore.

La prima: investire tempo didattico per lo studio delle isometrie, in altri tempi avrei detto che è un investimento difficile ma redditizio (se pure a lungo termine). Dopo aver letto questo articolo, rincaro la dose e dico che è assolutamente necessario. Ma non con le equazioni cartesiane, per favore! Quelle verranno da sé se l’esperienza didattica sarà stata ricca e articolata. Ma allora, come le facciamo studiare le isometrie nei primi ordini di scuola? Risposta breve: non abbiamo definito le isometrie come sposatamenti rigidi? Perchè allora invece di disegnare su un foglio una figura, non la facciamo ritagliare e animare? Ecco un’idea per uscire dalla barbosa lezione, magari giocare a inventare storie animando figure che diventano personaggi, ma soprattutto diamo ai bambini la possibilità e il piacere di manipolare qualcosa di concreto, che prende vita tra le loro mani. Sì perchè in questo modo è un frammento di sapere che prenderà vita fra le loro mani, lo sentiranno proprio, lo ricorderanno per tutta la vita.

Didattica virtuale o esperienza reale?

Ed ecco allora la seconda riflessione: didattica virtuale o esperienza reale? Io credo l’una e l’altra insieme! Se infatti è anacronistico pensare che sia “meglio” faticare con carta, penna e gessetto ignorando orgogliosamente le scorciatoie e perchè no, l’aiuto dei molti software e materiali didattici oggi presenti, è però viceversa presuntuoso o perlomeno drammaticamente limitato pensare che con la multimedialità si risolva tutto.

Dopo la multimedialità, la laboratorialità: questa a mio modesto parere può essere una formula vincente. Permette di alternare il momento euristico a quello propedeutico all’astrazione, che va comunque accompagnata nel giusto modo e con le giuste attenzioni a seconda delle età.

Per cercare di rielaborare e parafrasare la conclusione dell’articolo, se ai bambini non si può somministrare concetti astratti ma hanno bisogno dell’esperienza, bisogna creare un’esperienza ricca e sufficientemente varia affinchè questa possa essere un’adeguata propedeutica alla successiva concettualizzazione astratta: più ricco è il “vocabolario”, più articolate potranno essere le frasi.

E comunque, per concludere, vorrei insistere sul fatto che anche il quadrato, nel suo piccolo, è un rombo.