Diario di bordo – Chi si ricorda la “Didattica breve”?

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Si tratta di un campo di ricerca che mi ha da sempre affascinata. Cominciai ad occuparmene quando insegnavo a un corso serale ITI elettrotecnico, classe IV. Missione, insegnare a volenterosi trenta-quarantenni già esperti in vari campi di lavoro ma pressochè digiuni di matematica, un ingente programma di analisi, con approfondimenti su successioni e serie, numeri complessi ed equazioni differenziali, il tutto in tempo-classe ridotto ai minimi termini, spesso, per loro, dopo una già faticosa giornata di lavoro.

Lo stesso principio didattico, a grandi linee fondato su una seria e ragionata ricerca di “nuclei fondanti” e percorsi logici anche interdisciplinari – la cosiddetta “distillazione della materia”, si applica molto bene anche nel campo a me ancora più caro della didattica interculturale, che se ben spesa diventa un supporto extracurricolare al potenziamento e al rinforzo anche della matematica (un mio articolo a riguardo, dal titolo “Islam e matematica: aspetti per una didattica interculturale”, è recentemente apparso nel volume “L’Islam e i grandi educatori – le religioni come sistemi educativi”, ed. Belforte, Livorno, 2019).

L’ipotesi corrente di riaprire a settembre le classi con lezioni di 40 minuti, mi sembra che renda di nuovo estremamente attuale e necessaria una riflessione su questa modalità didattica, soprattutto nel campo della matematica dove in quei 40 minuti non si tratta soltanto di far ragionare, trasmettere nozioni o consigliare letture, ma bisogna arrivare a un preciso dunque di “saper fare” molto specifici e a volte molto complessi e “lenti” da costruire.

Il lavoro richiesto è molto, soprattutto a monte della lezione, ma la spendibilità è a lungo termine e il “risparmio” in termini di insuccessi didattici può essere davvero notevole.

Qui il link a una pagina che ben illustra gli aspetti di questo metodo di lavoro (link esterno):

http://www.roberto-crosio.net/db/db.htm

Buona lettura!

Una parola al giorno – Tridimensionale

Secondo appuntamento con “una parola al giorno”: quattro lingue con permesso di soggiorno euro-mediterraneo, per comunicare senza frontiere persino la matematica!

La parola che ho scelto per oggi è tridimensionale: niente falsi amici qui, tutte e tre le lingue europee seguono l’impianto latino della parola, con una preferenza del francese per la perifrasi, più scorrevole e piacevole alla pronuncia.

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(C) 2018 ilripassinodimatematica.com

L’espressione araba, al di là dell’aggettivo thulati che si può tradurre “in tre” o “di tre”, vede il termine al-‘ab’ad, che traduce la parola “dimensioni”, la cui radice b-‘-d significa sostanzialmente “essere lontano”, “discostarsi”, “allontanarsi”: lo trovo interessante perchè dà molto il senso della dimensione matematica come “prolungamento indefinito” in una certa direzione. Tutto a posto quindi: a parte eventuali difficoltà di pronuncia, c’è pieno accordo culturale qui!

Che cosa aggiungere riguardo al termine Tridimensionale? Poco da spiegare a riguardo, ma forse vale la pena una considerazione didattica sull’importanza di fare i conti con la terza dimensione, anche per poter padroneggiare la geometria piana.

Ricordo a questo proposito un test Invalsi per le seconde superiori cui ebbi modo di fare da assistente (come docente della materia non avrei dovuto, ma ottennero una deroga per mancanza di colleghi idonei allo scopo, alcuni in gita scolastica, altri in malattia, altri chissà). Non era una mia classe, se non altro, quindi era la prima volta che vedevo quei ragazzi. Ma chi insegna sa fin troppo bene che non c’è miglior formula magica della frase “guardate che non vi posso aiutare”, per scatenare con furia divina una tempesta di domande, alle quali essere costretti a rispondere nel modo più sibillino ed enigmatico possibile, lasciando i poveretti con i loro dubbi moltiplicati per due – o se siete bravi in quest’arte, anche per quattro.

Uno dei quesiti presentava due figure speculari in simmetria assiale, con l’asse che separava lo spazio fra di esse ben tracciato (ecco, piccolo indizio: non ho scritto “lo spazio”?). La domanda a scelta multipla chiedeva di scegliere se l’isometria che portava la figura “A” a sovrapporsi alla figura “B” fosse una traslazione, una rotazione o una simmetria assiale… un ragazzo voleva che confermassi se era giusta la sua scelta: lui diceva “rotazione”.

Mi rilessi quattro volte il quesito, cercando tra le pieghe della carta riciclata su cui era stampato se da qualche parte fosse nascosto l’aggettivo “piana” dopo la parola “isometria”: ma no, non c’era. Questo ragazzo, che avrebbe detto “rotazione” immaginando giustamente di ruotare le pagine di un ipotetico foglio intorno all’asse di simmetria (o di rotazione), aveva una squisita immaginazione tridimensionale, che la burocrazia di un compilatore di quesiti non aveva minimamente previsto! Mi sono segnata questo esempio come un “case study”, sul come gli “standard di apprendimento”, pur non essendo un male in sé, possano a volte rivelarsi delle armi a doppio taglio.

come si sovrappongono le ali di una farfalla: per simmetria assiale o per rotazione?

come si sovrappongono le ali di una farfalla: per simmetria assiale o per rotazione? fotografia presa in prestito dal sito http://m.dagospia.com/dal-baco-alla-farfalla-le-piu-belle-trasformazioni-del-mondo-animale-87348

Non tutti hanno una immaginazione tridimensionale, ed essa non viene quindi richiesta come uno standard minimo di apprendimento, ma per chi ce l’ha, è un dispiacere che essa diventi un potenziale ostacolo alla corretta valutazione del livello di apprendimento.

Certamente, se questo “livello di apprendimento” fosse stato consapevole, il ragazzo in questione avrebbe forse colto anche la sfumatura della domanda, e trovando che due possibili risposte sembravano essere corrette avrebbe scelto quella più attinente al piano di studi dell’anno in corso. Ma di quella bella sensibilità per la terza dimensione che malgrado le intenzioni il quiz Invalsi aveva fatto emergere, che ne sarà mai?

Ai posteri l’ardua sentenza, dite la vostra nei commenti, se vi pare! Domani è un altro giorno, un’altra parola ci accompagnerà!

#unaparolaalgiorno

 

 

 

 

Una parola al giorno – Assioma

«Una parola al giorno»: quattro lingue con permesso di soggiorno euro-mediterraneo, per comunicare senza frontiere persino la matematica!

Cominciamo con la parola Assioma, che il dizionario Treccani definisce come

verità o principio che si ammette senza discussione, evidente di per sé

specificando come in matematica l’assioma generalmente indichi un elemento di

un sistema formale di proprietà che costituiscono una definizione implicita dell’ente o dell’espressione cui si riferiscono, a prescindere quindi dalla loro evidenza, dal momento che non hanno la pretesa di essere verità assolutamente valide.

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Sempre il dizionario Treccani ci indica un’etimologia della parola, che ha un corrispondente esatto in greco antico derivante dal termine ἄξιος, «degno».

Come si vede dalla flashcard, tale etimologia si adatta a tutte e tre le lingue europee. Riusicamo a dire qualcosa anche dell’etimologia araba? Ci provo: cercando la radice b-d-h su cui si forma il termine badihiyyah (ometto per sempicità le vocali lunghe che sono invece indicate nella flashcard),  troviamo il significato generale di «cogliere alla sprovvista», «presentarsi all’improvviso», «sorprendere». Direi che descrive bene l’impatto del sistema assiomatico sui poveri studenti!!

Nella sistemazione della geometria piana data da David Hilbert (Königsberg, 23 gennaio 1862 – Gottinga, 14 febbraio 1943), vengono raggruppati gli assiomi di appartenenza (ad esempio «due punti distinti individuano una ed una sola retta»); gli assiomi di ordinamento (ad esempio: «tre punti distinti appartenenti ad una stessa retta sono sempre disposti in modo tale che uno dei tre stia fra gli altri due»); gli assiomi di congruenza (ad esempio è posto come assioma che la congruenza tra segmenti goda della proprietà transitiva); l’ assioma delle parallele (che definisce la geometria euclidea) e infine i due assiomi di continuità (l’assioma di Archimede e l’assioma di completezza).

 

… perchè non siamo mica qui a calcolare radici quadrate !

Se il matematico creativo può eventualmente trovare topologicamente interessante anche pettinare le bambole, sicuramente non è vocazione di nessuno passare la vita a calcolare radici quadrate, con buona pace delle calcolatrici elettroniche!

Non per niente il buon Pitagora “inventò” le famose terne che portano il suo nome. In altre epoche e culture, sappiamo che il parimenti buon Abu-l-Wafa al-Buzjani, nel X secolo del nostro calendario, utilizzava la terna 3-4-5 per verificare la perpendicolarità – e non di cateti di triangoli inventati ad hoc per fare esercizi, ma di muri ed angoli di pavimenti, stante che era un geometra e architetto tra i più sapienti della sua epoca, per inciso padre -tra le molte cose – della moderna trigonometria.

Il (un) fascino delle terne pitagoriche sta nel fatto che permettono di creare senza fatica infiniti triangoli rettangoli apparentemente diversi fra di loro: lo studente diligente e accorto si rende facilmente conto, dopo i pochi primi esercizi proposti dal libro, che i numeri in ballo sono sempre gli stessi, o perlomeno risultano fortemente imparentati fra di loro. Se ha avuto anche un insegnante accorto ( = che gli ha spiegato le terne pitagoriche evitando di considerarle una perdita di tempo), si sarà a quel punto accorto (e scusate le ripetizioni) che gran parte degli esercizi si risolvono facilmente con l’uso delle terne: niente di più difficile di un 3-4-5 o più rare volte un 5-12-13 per non dire qualche sporadico 7-24-25.

I problemi che presentano come dati di partenza le proporzioni tra i lati, poi, sono il più delle volte fatti per lasciar trasparire la terna sottostante, cosa che permette di risolvere il triangolo con pochi semplicissimi calcoli in aritmetica di base. Ricordo perfettamente quanto insistette su questo punto il mio insegnante di quinta elementare! Peccato invece trovare talvolta oggi, persino nel biennio superiore, chi delle terme pitagoriche non sospetta neppure l’esistenza, e instrada gli studenti a un diligentissimo uso della calcolatrice per ottenere risultati approssimati, il più delle volte senza nemmeno introdurre la minima consapevolezza sul fatto che le macchine – più degli esseri umani – sono soggette all’errore.

Alla domanda allora “a cosa serve” che gli studenti si tramandano speranzosi di una risposta di generazione in generazione, il rischio è che si debba rispondere un serio e sincero “solo a farti prendere dimestichezza con il concetto”. Perché a parte forse il Flatiron building di New York, il famoso “ferro da stiro”, tanti triangoli rettangoli con cui avere a che fare “nella vita di tutti i giorni” non è che se ne trovino: non tutti gli angoli di strada sono quello tra la Fifth Avenue e Broadway!

flatiron_crop

E non tutti gli architetti si chiamano Abu-l-Wafa, che misurava l’angolo retto con una “squadra” di lati 3-4-5! E in ogni caso da noi le “squadre” sono costruite sulla misura degli angoli (triangolo rettangolo isoscele con gli angoli acuti di 45° e metà del triangolo equilatero con gli angoli acuti di 30° e 60°) e non sulle proporzioni dei lati. Paradossalmente forse proprio per l’eredità di quel che Abu-l-Wafa ci ha genialmente tramandato: scherzi del destino e della storia!

E tant’è … pare tra l’altro che le nostre “pitagoriche” amiche venissero in realtà dalla Cina, ma questa, forse potrà essere un’altra pagina futura di questo blog.