Chi come me era giovane negli anni ’70, non solo – probabilmente – è appassionato contemporaneamente di fantascienza e di scienza-e-tecnologia (non la chiamavano STEM ma ce n’era molta e nessuna serie TV l’aveva ancora resa “gentlemen only”, cosicché in modo del tutto ignaro se ne occupavano ampiamente anche le ragazze, senza bisogno di promo speciali), ma quasi sicuramente è cresciuto a pane e Star Trek.
Tale categoria di lettori e lettrici avrà quindi già riconosciuto la citazione dal film anni ’80, il quarto della serie capitanata da Kirk e governata dal binomio di saggezza cerebro-emotiva di Spock e McCoy, “Rotta verso la Terra”, dove per salvare il pianeta terra occorrerà ritornare nel passato e “prelevare” – come fosse un bancomat – dal pianeta gli ultimi due esemplari rimasti di balene, affinchè ritornando nei mari del quarto millennio possano rispondere all’appello di un’astronave aliena venuta a salutarle.
Non sono certo la prima a parlarne, il film ha un copione ricco di gag e di intermezzi comici, giocando sul teatro a cui è costretto l’equipaggio dell’Enterprise alle prese con la “aliena” civiltà terrestre di un millennio precedente, rude di soluzioni tecnologiche e non solo, con codici etici relativamente assoluti, nel maldestro tentativo di “non influenzare”, con la loro presenza, il corso degli eventi. Casomai fosse possibile.
Ad esempio si può leggere questo post (link esterno) che propone una recensione dello stesso film.
A parte essere molto in tema con le questioni ecologiche oggi all’ordine del giorno, la trama gioca con altri argomenti che possono dare spunto di riflessione sui limiti e sull’etica della scienza:
ad esempio il paradosso temporale sollevato da McCoy al dr. Scott (al minuto 4:23 di questo spezzone reperibile su Youtube): “naturalmente, ti rendi conto che se gli riveliamo la formula, noi alteriamo il futuro…” – a cui Scott risponde pronto: “No, perché? Chi ci dice che non sia stato lui l’inventore?”
oppure la simpatica gag della fuga dall’ospedale dove Sulu (o era Checkov?) è stato ricoverato, con l’indignazione di McCoy per la drammatica arretratezza della medicina di fine secondo millennio…
oppure ancora, il classico “Salve, computer!” che dà titolo a questo post (scena centrale dello stesso spezzone che ripropongo in link) fa da promo ai desiderata di uno sviluppo tecnologico che oggi invece sembra raggiunto. La riflessione che condivido è: chi ha deciso che abbiamo bisogno di tutta questa gara di evoluzione tecnologica? La lastra spessa 15 cm era davvero così tanto più ingombrante, in una astronave interstellare, rispetto a una lastra di 2,5 cm? (Non lo so, chiedo agli esperti). Ma in ogni caso, in che misura questi “sogni astrospaziali” sono stati determinanti, in una generazione come la mia, a pilotare altri “sogni” poi proposti con oculata pianificazione e tempistica, tramite le varie Siri e Alexa, o ancora prima – vi ricordate? – i Motorola pieghevoli che assomigliavano agli interfono dell’equipaggio, con il logo che abilmente alludeva allo stemma della flotta interstellare? (a proposito e c.v.d., scopro adesso, cercandone una foto, che il famoso Motorola Razr, che anch’io ho avuto a suo tempo finché a forza di apri-e-chiudi non si è rovinato o finchè – lectio facilior – non sono subentrati modelli di nuova generazione, è appena rientrato sul mercato come smartphone pieghevole: a conferma che nessun film anni ’80 viene riproposto dai canali pay-tv senza uno scopo!).
Beh, di spunti di riflessione ce ne sarebbero ancora molti, ma direi che qui elencati ce ne sono già abbastanza… meditate, gente, meditate e…
… salve, computer!
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