«Una parola al giorno», quattro lingue con permesso di soggiorno per comunicare, divertendosi, persino la matematica!
Spero, almeno, che questo modo di parlare di matematica sia anche per voi piacevole e divertente: per me lo è (cerco di non abusare dei punti esclamativi, ma qui ci andava).
Oggi introduciamo quella parola che si usa il giorno in cui si introducono gli assiomi di appartenenza, e poi potenzialmente mai più (a meno che non si arrivi a fare esercizi di geometria analitica nello spazio). Ma no, mi correggo: se ne può parlare a proposito degli spigoli di un solido, ad esempio di un cubo. Sto parlando del termine sghembe, che si riferisce a due rette nello spazio tridimensionale che non abbiano punti in comune ma non siano parallele. In alternativa possiamo definire sghembe due rette non appartenenti ad uno stesso piano.
Proprio gli assiomi di appartenenza ci assicurano l’esistenza di due rette sghembe nello spazio. In particolare l’ultimo assioma di appartenenza: «dati tre punti non allineati dello spazio esiste almeno un quarto punto che non appartiene al piano individuato dai primi tre», abbinato al primo assioma (o al primo e secondo abbinati, a seconda delle scuole di pensiero) «dati due punti distinti dello spazio esiste ed è unica la retta che li contiene», insieme ci permettono di dimostrare l’esistenza di (ma anche di costruire) due rette sghembe.
Riguardo all’etimologia, per oggi mi astengo: il discorso è troppo sghembo! Dico solo che in tutte le lingue – arabo compreso – la parola significa «storto», ma anche «contorto» o «stravagante». E avendo prima citato il cubo (due spigoli non paralleli di un cubo, scelti ciascuno in un elemento di una coppia di facce parallele, appartengono a una coppia di rette sghembe), ci tengo a far notare che il famoso racconto di Heinlein «And He Built a Crooked House», già citato a proposito del termine Tridimensionale, utilizza proprio questo termine. Lo si sarebbe potuto tradurre «E costruì una casa sghemba». (Il titolo italiano invece è «Il tesseratto» – altro nome dell’ipercubo – che già suggerisce qualcosa del contenuto del racconto, molto più che nella versione originale.
Già che ci sono e l’ho citato, comunque, ve ne ri-consiglio la lettura, specie in lingua: è un ottimo esercizio per riconciliarsi sia con la matematica sia con l’inglese!
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