Come dice un adagio islamico, “cercate la scienza utile!”: si tratta di un consiglio che ha molti livelli di interpretazione. I più elevati hanno ricadute che non riguardano abbastanza da vicino questo spazio di condivisione di pensieri; si tratta della Scienza divina che permette di dare alle cose di questo mondo il giusto relativo valore rispetto a quell’aldilà che saremmo qui per guadagnarci. [Con buona pace dei colleghi ateisti].
Ma per non entrare in sterili polemiche tanto inutili quanto dannose, tratteremo qui soltanto di quel livello di “scienza utile” rappresentato da quelle cose più utili di altre muovendoci rigorosamente solo nell’insieme delle materie oggetto delle scienze terrene, e più precisamente della matematica.
Restringendo ulteriormente il campo, con questo adagio in mente sfoglio il secondo numero della nuova rivista MATE, che mi ha stimolato il pensiero proponendo un intero dossier su “scienza e fede”… ma non è di questo che voglio parlare.
Noto, piuttosto, un articolo nella rubrica simpaticamente chiamata “Maestrini”, con didascalia “le nuove frontiere della didattica”. La didascalia mi rassicura e mi rincuora: non si tratta di una pagina ironica! Anzi: analisi e consigli per una didattica più efficace.
L’Invalsi esiste ed è utile
L’articolo a firma di Silvia Sbaragli, intitolato “Vincere l’inganno delle posizioni”, presenta alcuni consigli su come prevenire e far emergere potenziali difficoltà che rischiano di rimanere nascoste nel consueto approccio all’insegnamento della geometria piana, nelle scuole elementari e medie: l’oggetto della trattazione è il riconoscimento delle diverse figure geometriche, a partire dalle loro “immagini segnaletiche” o a partire dalle proprietà caratteristiche?
La cosa per me veramente interessante dell’articolo è il riferimento alle valutazioni delle prove Invalsi 2008-2009. Estrapolo una deduzione en passant: l’utilità dell’Invalsi non è tanto nello stabilire i livelli di apprendimento quanto nell’individuare eventuali criticità nelle metodologie di insegnamento, come in questo caso. In altre parole: ad essere valutati non sono gli studenti, meno che meno i singoli che rimangono anonimi con poche eccezioni: sono al contrario valutati i programmi di insegnamento e le metodologie didattiche… viste così, hanno senso.
Prego identificarsi
Nella fattispecie, il case study riguarda il riconoscimento di figure geometriche, facilmente messo in crisi da una semplice “decontestualizzazione” rispetto al modo consueto di rappresentare ciascuna figura nella didattica “classica”: l’esempio evidenziato dai risultati delle prove invalsi, è quello del quadrato che se disegnato con le diagonali in orizzontale e verticale invece dei lati, diventa prontamente un “rombo”. Ora, non che il quadrato non sia un rombo, per carità. Il problema in questo caso (parliamo della prova invalsi in questione; per sapere i dettagli, comprate MATE e leggete l’articolo!) è che si privilegia la “posizione” della figura rispetto a evidenti proprietà come l’avere i quattro angoli retti.
La domanda che sorge spontanea – almeno ai maestrini – è quindi: “ma come abbiamo spiegato il quadrato, il rombo e le altre figure”? Come abbiamo definito ciascuna figura in relazione alle altre? Che esercizi abbiamo proposto per scandagliare tutti i possibili pitfall in cui lo studente incauto potrebbe cadere? … un momento! Ci abbiamo pensato alle possibili trappole in cui lo studente potrebbe cadere?
Da qui il consiglio dell’articolista: presentare le figure “non nel solito modo”: disegnarle in modo dinamico, in posizioni inaspettate, prevenire con la propria esperienza e capacità immaginativa tutte le possibili situazioni di ambiguità. A questo serve l’insegnante-allenatore. Le nozioni sono strumenti di lavoro per gestire gli oggetti matematici, non astrazioni da ripetere senza trovarne il legame con la realtà.
Dire, fare, manipolare
L’altro esempio citato nell’articolo è quello della piramide a base quadrata la quale, se presentata con la punta verso il basso, viene “per esperienza vissuta” identificata senz’altro indugio con un “cono”: il lato positivo è che l’esperienza matematica in quel caso, se pure non corretta, sarà risultata almeno appetitosa! Ma questo esempio apre a due importanti riflessioni che mi stanno entrambe tanto a cuore.
La prima: investire tempo didattico per lo studio delle isometrie, in altri tempi avrei detto che è un investimento difficile ma redditizio (se pure a lungo termine). Dopo aver letto questo articolo, rincaro la dose e dico che è assolutamente necessario. Ma non con le equazioni cartesiane, per favore! Quelle verranno da sé se l’esperienza didattica sarà stata ricca e articolata. Ma allora, come le facciamo studiare le isometrie nei primi ordini di scuola? Risposta breve: non abbiamo definito le isometrie come sposatamenti rigidi? Perchè allora invece di disegnare su un foglio una figura, non la facciamo ritagliare e animare? Ecco un’idea per uscire dalla barbosa lezione, magari giocare a inventare storie animando figure che diventano personaggi, ma soprattutto diamo ai bambini la possibilità e il piacere di manipolare qualcosa di concreto, che prende vita tra le loro mani. Sì perchè in questo modo è un frammento di sapere che prenderà vita fra le loro mani, lo sentiranno proprio, lo ricorderanno per tutta la vita.
Didattica virtuale o esperienza reale?
Ed ecco allora la seconda riflessione: didattica virtuale o esperienza reale? Io credo l’una e l’altra insieme! Se infatti è anacronistico pensare che sia “meglio” faticare con carta, penna e gessetto ignorando orgogliosamente le scorciatoie e perchè no, l’aiuto dei molti software e materiali didattici oggi presenti, è però viceversa presuntuoso o perlomeno drammaticamente limitato pensare che con la multimedialità si risolva tutto.
Dopo la multimedialità, la laboratorialità: questa a mio modesto parere può essere una formula vincente. Permette di alternare il momento euristico a quello propedeutico all’astrazione, che va comunque accompagnata nel giusto modo e con le giuste attenzioni a seconda delle età.
Per cercare di rielaborare e parafrasare la conclusione dell’articolo, se ai bambini non si può somministrare concetti astratti ma hanno bisogno dell’esperienza, bisogna creare un’esperienza ricca e sufficientemente varia affinchè questa possa essere un’adeguata propedeutica alla successiva concettualizzazione astratta: più ricco è il “vocabolario”, più articolate potranno essere le frasi.
E comunque, per concludere, vorrei insistere sul fatto che anche il quadrato, nel suo piccolo, è un rombo.