Il metodo della falsa posizione e le origini dell’algebra moderna

Riprendo ancora il ricchissimo e affascinante articolo di Enrico Giusti su Fibonacci e la matematica medievale del Liber Abaci, per riproporre la parte che espone il metodo al tempo applicato nel mondo arabo-islamico, che Fibonacci chiama “della falsa posizione” – metodo per la soluzione di equazioni o sistemi di equazioni di primo grado, soltanto apparentemente “empirico” ma sicuramente lontano dall’approccio formale con il quale si affronta oggi tale tipo di problema (almeno sui banchi di scuola!). Ecco come scrive il Giusti:

Con il terzo paragrafo, che reca il titolo piuttosto anodino di “problemi di alberi, e simili”, si entra in una delle regole centrali dell’aritmetica medievale: il metodo della falsa posizione. Questo opera nella soluzione di equazioni di primo grado, del tipo cioè a x = b .

Per questo, si pone x=A (la falsa posizione); in generale il risultato aA sarà diverso da b. Si dice allora: per A che avevo posto, viene aA; quanto dovrò porre affinché venga b? Algebricamente, la risposta è evidente: , come si poteva vedere fin dall’inizio risolvendo l’equazione proposta, e anzi l’introduzione della quantità A sembra più complicare le cose che semplificarle. Dov’è allora l’interesse del metodo della falsa posizione?

“C’è un albero, del quale  1/3 e  1/4   sono 21 palmi; si chiede quale sia la sua lunghezza”.

Per ridursi all’equazione bisogna eseguire la somma 1/3 + 1/4 = 7/12  , e quindi trovare un numero tale che i suoi  7/12  siano uguali a 21, un problema quest’ultimo che non è riconducibile allo schema delle proporzioni. Al contrario, una scelta oculata della falsa posizione (cioè del numero A) può rendere il calcolo molto semplice. Supponiamo che la lunghezza sia 12; sommando 1/3 e 1/4 di 12 si ottiene 4+3=7. Si dirà allora: se 12 mi dà 7, quanto occorrerà per avere 21? La risposta viene da un’applicazione molto semplice della regola del tre: il risultato voluto è 12*21/7 = 36 . Così la scelta di una conveniente falsa posizione (si sarà notato che 12 è divisibile sia per 3 che per 4) permette di evitare la somma delle frazioni 1/3 + 1/4, e quindi in definitiva di semplificare i calcoli.

Sempre per mezzo della falsa posizione si risolvono problemi di numeri proporzionali, come quello di trovare tre numeri in proporzione geometrica la cui somma sia 10. Partendo da tre numeri qualsiasi in proporzione continua – ad esempio 1, 2 e 4, la cui somma dà 7 – si dirà: se 1 (il primo dei tre numeri) mi dà 7, cosa dovrò prendere per avere 10? La risposta è   , e i tre numeri sono    e  .

Sempre per mezzo della falsa posizione si risolvono problemi di numeri proporzionali, come quello di trovare tre numeri in proporzione geometrica la cui somma sia 10. Partendo da tre numeri qualsiasi in proporzione continua – ad esempio 1, 2 e 4, la cui somma dà 7, si dirà: se 1 (il primo dei tre numeri) mi dà 7, cosa dovrò prendere per avere 10? La risposta è 10/7, e i tre numeri sono 10/7, 20/7 e 40/7.

La regola della falsa posizione fa emergere un punto importante nello studio dell’aritmetica medievale: non sempre quello che è semplice concettualmente, nel nostro caso, l’equazione ax=b, lo è anche algoritmicamente, soprattutto quando la mancanza di una notazione letterale rende difficile vedere il permanere della struttura dietro la molteplicità dei problemi, apparentemente tutti diversi tra loro. In effetti, la semplificazione introdotta dal metodo della falsa posizione è tale, che è conveniente utilizzare anche una sua estensione, detta della doppia falsa posizione o con voce araba “elcataym”, che consente di affrontare problemi che conducono a un’equazione del tipo ax+c=b.

Un argomento che vale la pena di approfondire.

I vostri commenti sono benvenuti!

To Bead or not to Bead … un pensiero profondo per cominciare il nuovo anno !

To bead or not to bead … that is the question, e ci perdonerà il grande Shakespeare per questa citazione un po’ a sproposito.

Con questa profondissima domanda il nostro blog inaugura l’anno nuovo. Abaco o non abaco? Il dilemma non nasce oggi, e senza togliere il sonno a troppe persone ha perlomeno la sua origine nella diatriba riguardo all’interpretazione da dare al titolo della celebre opera di Leonardo Pisano, meglio conosciuto come Fibonacci: il “Liber Abaci”, appunto.

C’è chi sostiene – a torto o a ragione – che si debba tradurre tale titolo con “Il libro dell’abaco”. C’è chi sostiene invece – altrettanto a torto o a ragione – che tale traduzione sarebbe fuorviante, in quanto le tecniche di calcolo introdotte da Fibonacci sono applicabili senza l’uso dell’abaco.

Dunque, se è lecito chiedere, chi ha torto e chi ha ragione?

Come spesso accade, in fin dei conti … entrambi. Almeno da un certo punto di vista.

Ma cominciamo con un po’ di storia. Ci aiuta Enrico Giusti, con un bellissimo articolo intitolato “Matematica e commercio nel Liber Abaci”, pubblicato sul prezioso sito “Il giardino di Archimede – un museo per la matematica” ( accessibile a questo link ). Vi leggiamo:

“Quando il Liber Abaci vide la luce, ottocento anni or sono, la matematica dell’Occidente cristiano era praticamente inesistente: se si eccettuano le traduzioni dall’arabo che alla fine del XII secolo un gruppo di studiosi stava conducendo nella Spagna musulmana, traduzioni che riguardavano soprattutto i grandi classici – Euclide in primo luogo – dell’antichità greca, ben poco circolava in Europa all’inizio del Duecento. Soprattutto ben poco di comparabile per mole e per profondità a quanto Leonardo Fibonacci avrebbe reso pubblico nel 1202.

Nè soccorrono meglio le opere arabe, certo testimoni di una cultura scientifica di tutt’altra consistenza e dalle quali Leonardo per sua stessa ammissione aveva attinto la maggior parte delle sue conoscenze. Ma anche rispetto ai suoi maestri, Fibonacci compie un’opera unica se non per originalità certo per mole: ben pochi trattati d’abaco arabi ci sono pervenuti che possano stare alla pari con quello scritto dal Pisano al termine delle sue peregrinazioni.

Siamo dunque di fronte a un’opera che non ha antecedenti in Europa, e che sfida le sue stesse fonti arabe; un’opera che non ha padri. Naturalmente, non mancano le filiazioni da opere precedenti, e anzi in alcuni tratti il Liber Abaci mostra evidenti le tracce di autori arabi, da al-Khwarizmi ad Abu Kamil; ma è altrettanto evidente che l’opera di Leonardo deriva non da un autore o da una scuola, ma semmai dalla matematica araba nel suo complesso, e che Fibonacci integra in essa tutte le conoscenze acquisite durante il suo apprendistato a Bugia prima, e poi nel corso dei suoi viaggi in tutto il mondo conosciuto”.

Ancora dallo stesso articolo, citiamo le rarefatte note biografiche che il Giusti raccoglie intorno al Fibonacci, tanto famoso quanto avvolto, in definitiva, dal mistero:

“Non c’è nessun documento che attesti la data di nascita di Leonardo. Sappiamo solo che in giovanissima età – “in pueritia mea” scrive nel Liber Abaci – aveva accompagnato a Bugia il padre Guglielmo, che nella dogana della città maghrebina svolgeva le funzioni di “publicus scriba pro Pisanis mercatoribus”, ossia di notaio che curava l’assistenza ai mercanti e forse aveva anche incarichi di rappresentanza. Qui il giovane Leonardo apprese la matematica dell’abaco, forse non più dei primi rudimenti se si deve prestar fede al suo proprio racconto, dove dice essere stato a scuola d’abaco “per aliquot dies”, alla lettera: “per alcuni giorni”. Ma una volta familiarizzatosi con le tecniche dei numeri arabi, non cesserà più di accumulare conoscenze, impadronendosi di quanto si sapeva nei luoghi in cui lo portava la sua attività, o forse più probabilmente il suo desiderio di viaggi e di conoscenze: in Egitto, in Siria, in Grecia, in Sicilia, in Provenza; in breve, in tutto il Mediterraneo.”

Fermiamoci un attimo e cerchiamo di fare il punto nella tempesta d’informazioni che in questi pochi paragrafi ci ha bombardato la mente… raccogliamo alcune parole chiave tra quelle che ci hanno solleticato l’immaginazione e il pensiero …

… ad esempio: “matematica araba” …

… meglio ancora: “numeri arabi” …

… ed ecco un indizio importante: “la matematica dell’abaco” …

… e infine, la vera parola chiave per ricostruire la scena teatrale: “il mondo conosciuto” …

Il mondo conosciuto! Di che cosa stiamo parlando?

Stando alle note del Giusti, il “mondo conosciuto” di Leonardo Pisano comprende – oltre all’algerina Bugia, anche “l’Egitto, la Siria, la Grecia, la Sicilia, la Provenza”. Niente dunque di particolarmente esotico … ma non abbiamo forse saltato qualche passaggio di troppo, nei nostri calcoli?

Facciamo un passo indietro e ripeschiamo un’altra delle nostre parole-chiave: “numeri arabi”.

Numeri arabi! … voi che leggete questo articolo sapete di cosa stiamo parlando?

Probabilmente sì, almeno a grandi linee: tutti sanno che i cosiddetti “numeri arabi” sono in realtà i numeri indiani, adottati appunto dagli Arabi con qualche adattamento e da loro stessi portati anche nella cosiddetta “Europa cristiana” che anche il Giusti come tale menziona.

Tutti sanno anche che i numeri arabi – pardon, i numeri indiani – introducono come una novità nello stesso mondo arabo la notazione posizionale, e ancora più noto è il fatto che proprio grazie alla matematica indiana viene introdotto l’uso dello zero come “numero” – meglio sarebbe dire come cifra.

Ok, d’accordo. E cosa c’entra tutto questo  con l’abaco-o-non-abaco, da cui siamo partiti?…

… vedrete che c’entra, eccome!

Innanzitutto, i detrattori della tesi “abaco sì”, quando dicono “abaco” pensano esclusivamente all’abaco latino o antico-romano, unico retaggio di questo tipo di strumento nella sempre cosiddetta “Europa cristiana”. Certo. Questo ci riporta alla premessa prima di Enrico Giusti, vale a dire “quando il Liber Abaci vide la luce, ottocento anni or sono, la matematica dell’Occidente cristiano era praticamente inesistente”.

In effetti l’abaco romano – peraltro interessantissimo strumento – non era affatto uno strumento “posizionale”, così come non lo era il sistema di numerazione latino che ne rispecchiava nè più nè meno il funzionamento.

Quindi – abaco o non abaco – il “Liber Abaci” di cui Fibonacci, non si riferisce certo, nè direttamente nè indirettamente, allo strumento di calcolo della Città Eterna … ma allora?

allora torniamo alla domanda delle domande: “il mondo conosciuto”!

Urge un’addizione. Facciamola subito. Addizioniamo “Mondo conosciuto” con “Matematica araba”. Otteniamo, usando la proprietà dissociativa, commutativa e associativa dell’addizione: “Matematica” + “Mondo conosciuto dagli Arabi”… cambia qualcosa? … Eccome se cambia!

Il mondo conosciuto dagli Arabi, all’epoca di Fibonacci, in effetti andava un pochino al di là della pur ammirabile cultura del Pisano: di sicuro, abbiamo detto, avevano abbastanza approfondito la familiarità con il mondo indù da riportarne a casa – ed esportarne all’Europa – le conoscenze scientifico-matematiche e non solo. Ma già da diversi secoli erano arrivati fino in Cina, dove la moschea di X’ian, una delle più antiche al mondo, fu fondata da uno dei primi Califfi, nel primo secolo dell’Egira. E d’altra parte, un detto del Profeta Muhammad esorta a “cercare la conoscenza fino in Cina”!

Ebbene, tra il Medioriente e la Cina, decisamente la cultura dell’abaco si trova ben più radicata che non sulle sponde del Mediterraneo. Tutto fa pensare che il mondo arabo, o almeno una parte di esso, avesse effettivamente adottato un abaco simile a quelli orientali piuttosto che non l’abaco latino. E la notazione posizionale – comprendente la cifra dello zero a segnare il posto per le posizioni dell’abaco dove “non succede nulla” – sembra un modo ben congegnato per “simulare” sulla carta le tecniche consolidate sull’abaco, senza aver bisogno di portare con sè il non sempre pratico strumento.

Solo una congettura? Ci sono indizi per dire di no, ma ne parleremo nei prossimi articoli.

I vostri commenti sono i benvenuti, li attendiamo con piacere.